Lanfranco Bove
Presidente Associazione 1857




Ho scoperto un personaggio con una grinta e forza interiore che magari traspare
nel discendente di eboli. I problemi erano tanti e andavano risolti.
In questa circostanza Francesco La Francesca si è comportato in una maniera terribile
per i personaggi perchè ha assunto delle posizioni nel momento in cui il regime
borbonico era un regime di polizia.
Ha colto una grande occasione quella del processo ai superstiti della grande spedizione.
Erano coinvolti non solo quei disperati che erano scappati per le campagne che
poi l'esercito o le guardie urbane ha salvato ma era coinvolto anche l'equipaggio
del battello a vapore. Nell'equipaggio c'erano gli inglesi, il battello era piemontese
di un altro regno, la grossa occasione fu questo pubblico dibattimento che si celebrò
a Salerno perchè era di estremo interesse. L'unione pubblica europea era rimasta scossa
da questa strage, da questa avventura di Carlo Pisacane e c'era un gran numero di imputati.
Nella storia dei giudizi penali del Regno delle Due Sicilie, il pubblico dibattimento che la
Gran Corte Speciale di Principato Citra celebrò in Salerno, a partire dal dicembre 1857,
contro i superstiti della spedizione dei Trecento di Carlo Pisacane, rappresentò un
avvenimento di estremo interesse per la gravità degl i avvenimenti, per la risonanza che essi
avevano avuto nell 'opinione pubblica europea, per le ripercussioni di carattere diplomatico
e per il rilevante numero degli imputati.
A seguito dell 'ordinanza di rinvio a giudizio emesso a carico di duecentottantasei imputati
dalla Gran Corte speciale, in accoglimento dell 'accusa, si costituì il collegio di difesa.
I componenti dell'equipaggio del Cagliari, il battello a vapore di proprietà della Compagnia
Rubattino di Genova, che salpato dal porto di Genova era stato dirottato a Ponza e quindi era
sbarcato a Sapri con i membri della spedizione comandata da Pisacane, scelsero a loro
difensore l'avvocato Francesco La Francesca di Eboli.
Il Cagliari, effettuato lo sbarco sulla Marina di Vibonati, era stato fermato al largo, tra
Capo Licosa e Capri, da due fregate della marina napoletana, Tancredi ed Ettore Fieral110sca
. L'equipaggio era stato fatto prigioniero mentre la nave era stata presa a rimorchio
dall'Ettore Fieral11osca.
Il capitano del battello Antioco Sitzia, interrogato, raccontò di violenze subite dai
rivoltosi e come, appena reso libero a Sapri, si fosse diretto verso Napoli per far rapporto
a quelle autorità dell'accaduto.
Il 22 agosto la Casa Commerciale Carlo Di Lorenzo e Comp., nominata procuratrice dalla
compagnia Rubattino di Genova, avanzò atto di protesta e chiese la restituzione del
piroscafo; ma l'Intendenza generale della Real Marina napoletana, con domanda del 26 dello
stesso mese, istituì il giudizio di " buona preda" del battello innanzi alla Commissione
delle prede e dei naufragi, contro la compagnia Rubattino ed il capitano Antioco Sitzia, sostenendo:
l. che gli atti ed i fatti commessi dal Cagliari erano di pirateria;
2. che gli stessi erano di guerra mista.
Il momento era particolarmente delicato, tanto piÙ che sul governo piemontese era facile
rovesciare l'accusa - come in effetti la stampa borbonica fece - di avere, se non
incoraggiato, quanto meno consentito col suo liberalismo che si organizzasse a Genova un
complotto contro il regno di Napoli, e si effettuasse con mezzi offerti da una compagnia di
navigazione piemontese.
Cavour innanzitutto si diede premura di esprimere al governo napoletano la sua profonda
indignazione per l'attentato commesso contro la sicurezza di uno Stato amico; si limitò ad
avanzare solamente ufficiose sollecitazioni per la pronta restituzione del legno e del carico
ai proprietari, e per la liberazione dell'equipaggio e
dei passeggeri riconosciuti innocenti.
Nel frattempo la stampa liberale soffiava sul fuoco e attaccava il governo napoletano
affermando che, al momento della cattura, il Cagliari si trovava in alto mare e al di là del
tiro di cannone dalla spiaggia.
La stampa inglese a sua volta faceva pressione sul governo perché reclamasse la sollecita
restituzione dei due macchinisti, di nazionalità inglese, protestando per i maltrattamenti a
cui sarebbero stati sottoposti e che avrebbero minato la loro salute e che il prolungato
imprigionamento dei due macchinisti poteva essere ritenuto come un atto di ostilità contro l'Inghilterra.
Il giovane avvocato ebolitano, Francesco La Francesca doveva dimostrare che l'accusa di
complicità rivolta ali 'equipaggio del Cagliari era falsa, ma soprattutto attirarsi la
simpatia della stampa e delle sfere governative piemontesi.
Le prime avvisaglie del grande torneo giudiziario si ebbero ben presto.
Il lO febbraio 1858 l'avvocato La Francesca chiese che venissero lette alcune pagine di un
portafogli rinvenuto a Sanza sul cadavere di un rivoltoso, e la Corte, in considerazione del
fatto che il Pubblico Ministero si era servito del portafogli di Pisacane per stabilire
alcune circostanze nell' atto di accusa, aveva accolto la domanda e aveva ordinato che si
desse lettura di quella pagine nel corso della pubblica discussione. Ma prima ancora di
procedere alla lettura del documento, Francesco La Francesca chiese che venissero sottoposte
all'esame di Giovanni Nicotera, uno dei capi della spedizione, perché riconoscesse la
scrittura e dicesse quindi a chi apparteneva il portafogli stesso.
Il Procuratore Generale si oppose energicamente a tale richiesta osservando che la difesa
intendeva far figurare da testimone un complice, cosa che era espressamente vietato dalla legge.
L'avvocato La Francesca ribattè che, accettando il punto di vista del Procuratore Generale si
sarebbe commessa una grave ingiustizia nei riguardi della difesa i cui diritti erano uguali a
quelli del pubblico accusatore: non aveva costui fatto riconoscere a Nicotera la paternità di
alcuni documenti dei quali si era servito nell'atto di accusa?
Il Presidente comprese la gravità dell'argomentazione di La Francesca e, correndo in aiuto
del Procuratore Generale, invitò la Corte a passare subito in Camera di Consiglio per
deliberare, e così "destra mente" evitò di far trascrivere nel verbale di pubblica
discussione le ragioni del difensore.
La Corte respinse la domanda; il difensore volle che fosse inserita in verbale la sua
protesta, mentre i consoli inglese e sardo, presenti al dibattimento, si mostrarono
contrariati per tale ingiusta decisione.
Uno di essi, come si legge nel rapporto del Presidente Dalia del l o marzo 1858 al ministro
di Grazia e Giustizia esclamò: «Si è cominciato molto male».
Accertato successivamente, nel corso del dibattimento, che quel portafogli era stato trovato
sul cadavere di Barbieri, l'avvocato La Francesca colse l'occasione per ritornare sulla sua
richiesta; questa volta il Procuratore Generale, dimostrando poca coerenza, e dando inoltre
prova che la sua condotta era regolata dai suoi umori personali e dalle diretti ve che gli
giungevano da Napoli, consentì alla richiesta.
La Francesca lo aveva dunque, con molta abilità, indotto in contraddizione.
Non facilmente sostenibile si presentava la difesa del comandante Sitzia e dei macchinisti
inglesi; al primo, oltre alla complicità con i rivolto si, si imputava l'intenzione di voler
ritornare a Ponza per rilevarvi altri detenuti.
Il Procuratore Generale pose al capitano Sitzia queste domande:
«a che punto si trovava alle otto e tre quarti, quando scoprì il Tancredi, la nave della marina borbonica;
a che distanza era da Capri e dalla Punta della Campanella quandofu avvistato;
quale era la direzione del battello nel momento in cuifu scoperto».
Il Sitzia sostenne che non poteva senza documenti rispondere su due piedi.
La Francesca oppose che, qualora la Corte avesse ammesso l'audizione degli ufficiali, egli
avrebbe chiesto che si fosse ascoltato un adeguato numero di esperti nell'arte nautica, i cui
nomi si sarebbe riservato di comunicare.
La questione relativa alla cattura del Cagliari era giunta ad una svolta pericolosa che
poneva il governo napoletano di fronte alla necessità di trattare una onorevole soluzione.
Ancora una volta il peso della opinione pubblica europea gravò sulle determinazioni del
governo di Napoli e sul corso della sua giustizia.
Inghilterra e Regno di Sardegna erano direttamente impegnati nella disputa: la prima per i
due sudditi inglesi che erano stati fatti prigionieri insieme con l'equipaggio; il secondo
perché la nave di cui si erano serviti i rivoltosi batteva la propria bandiera.
Gli avvenimenti precipitarono: con Sovrano Rescritto del 9 giugno fu disposta dal governo
borbonico la liberazione dell'equipaggio del Cagliari.
La mattina del 18 giugno il vapore inglese Centauro al comando del capitano Clifford giunse a
Salerno per rilevarli: la consegna avvenne alla presenza del console inglese Barbar e degli
avvocati Francesco La Francesca e Gaetano Vietri.
Nelle udienze successive La Francesca, che era il difensore di tutti gli uomini
dell'equipaggio del Cagliari, liberati costoro, non doveva parlare che in difesa di due
imputati secondari. Tuttavia, «nel corso della sua arringa, a partito preso, scantonò e si
scagliò con una critica serrata contro le argomentazioni del Procuratore Generale nei
riguardi dell'equipaggio del Cagliari. Ma venne energicamente ripreso dal Presidente».
Mentre il drammatico processo volgeva alla fine, con prevedibili severe condanne, Francesco
La Francesca intese unire la sua voce a quanti avevano protestato per il modo barbaro con cui
erano stati sopraffatti i pochi uomini inermi che avevano seguito Carlo Pisacane nella sua
assurda impresa: un monito ai giudici, che si apprestavano ad emettere il verdetto, di
trovare nel loro animo, verso gli infelici superstiti, un sentimento di quella umana
compassione che i soldati, le guardie urbane e la popolazione a Padula e a Sanza non avevano saputo avere verso i caduti.